CULTURA

Spielberg, West Side Story? Il mio sogno a 10 anni

Steven Spielberg © ANSA/EPA

Steven Spielberg © ANSA/EPA

Il sogno dell’infanzia che si realizza, la voglia di raccontare ancora le divisioni del mondo, la paura di toccare una cosa sacra, ma anche l’esigenza di adattarla ai nostri tempi e, soprattutto, il desiderio di riproporre la lezione universale di quest’opera : queste alcune delle motivazioni che hanno spinto il premio Oscar Steven Spielberg a mettere mano a WEST SIDE STORY che sarà in sala il 23 dicembre con The Walt Disney Company Italia.
“Avevo dieci anni quando ho sentito per la prima volta il disco di West Side Story – dice Spielberg ieri in Global conference – .

E quella musica non se n’è mai andata davvero via dalla mia testa. Ora sono riuscito finalmente a portare a compimento quel sogno, a mantenere quella promessa che avevo fatto a me stesso, ovvero: Devi fare West Side Story”.
Ispirato al musical di Broadway del 1957 con libretto di Arthur Laurents, parole di Stephen Sondheim (recentemente scomparso) e musiche di Leonard Bernstein, WEST SIDE STORY divenne poi nel 1961 il film forse più rivoluzionario dell’universo musicale grazie a Robert Wise che, con questo lavoro, si portò a casa ben dieci Oscar.
Una sorta di Romeo e Giulietta nel West Side di New York, dove due gang si scontrano per il controllo del territorio in nome dell’odio razziale: ovvero i Jets e gli Sharks, rispettivamente indigeni e portoricani. Ma tra le due bande sboccia inaspettato l’amore tra Tony e la portoricana Maria, un amore grande è tragico proprio come quello shakespeariano.
Nel cast Ansel Elgort (Tony), Rachel Zegler (María), Ariana DeBose (Anita), David Alvarez (Bernardo), Mike Faist (Riff), Josh Andrés Rivera (Chino), Ana Isabelle (Rosalía), Corey Stoll (Tenente Schrank), Brian d’Arcy James (Agente Krupke) e Rita Moreno (unica attrice del film originale nel ruolo questa volta di Valentina, proprietaria del negozio in cui lavora Tony).
“È Romeo e Giulietta, ma è anche un’allegoria molto attuale di ciò che sta accadendo ai confini del nostro paese, dei sistemi americani che respingono chiunque non sia bianco. – dice Spielberg – . In questo nuovo WEST SIDE STORY i personaggi fanno e dicono cose che non facevano e non dicevano nel film originale del 1961: una cosa che deriva in gran parte dalla nostra determinazione di approfondire la storia e le vite reali di quei giovani abitanti di Lincoln Square e San Juan Hill, degli Sharks e dei Jets . In quel periodo, la comunità portoricana viveva principalmente tra la West 64th Street e la West 72nd Street. La storia vera di quella comunità è molto ricca e importante e volevamo approfondirla nella nostra versione di questo musical”.
Comunque per il regista questo è forse il film più arduo della sua carriera. “Prendere un capolavoro e rivisitarlo da un’altra prospettiva e con un’altra sensibilità, senza compromettere l’integrità di quella che è generalmente considerata la più grande partitura musicale mai scritta per il teatro, era qualcosa che faceva tremare i polsi. Ma sono convinto che le grandi storie debbano essere raccontate all’infinito, in parte anche per rispecchiare prospettive e periodi storici differenti”.
Per Tony Kushner, sceneggiatore e produttore esecutivo: “Non c’è proprio niente di datato nell’opera originale. La musica è adorabile e fantastica e sembra che tutto stia succedendo solo ora. Quindi non c’è niente di stonato o antiquato. Tutto tranne lo spagnolo, niente era detto in spagnolo, questa l’unica differenza (uno spagnolo tra l’altro – ha spiegato Spielberg – volutamente senza sottotitoli, un omaggio alla cultura ispanica e all’America oggi di fatto bilingue)”.
Ma Steven Spielberg ha ballato al ritmo di WEST SIDE STORY? “Certo che l’ho fatto – dice sorridendo – ma solo durante i tre mesi di prove, ma mai quando ho cominciato a girare. Allora non battevo neanche il piede, ero troppo concentrato sul monitor e su quello che stavamo facendo. Ma una cosa è certa mi sono sentito sul set più che un padre, una parte di quella straordinaria famiglia allargata”.

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