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Intervista a Sarah Consulich Cannarutto, nuova direttrice di “Artissima”

Sarah Consulich Cannarutto

Sarah Consulich Cannarutto

Quali pensa siano prima di tutto gli obiettivi basilari di una fiera d’arte contemporanea?

«Devono essere e rimanere commerciali. Le fiere devono saper attrarre i collezionisti perché il collezionismo ne è il vero motore. Se i collezionisti comprano, le gallerie sono soddisfatte, tornano e la fiera cresce. È anche necessario tutelare la qualità delle gallerie attraverso una selezione coerente con l’identità della fiera stessa. Artissima è riconosciuta internazionalmente per il suo livello, perché le opere sono spesso di qualità museale, per gli stand ben curati e perché ci sono gallerie giovani davvero interessanti e promettenti. L’identità di una fiera è la chiave per il suo successo. Per questo non vanno fatti compromessi, altrimenti si rischia di perdere anche la capacità di competere con le altre fiere. Ma anche la qualità dell’offerta culturale sul territorio è uno strumento importante, penso che una fiera forte debba agire sempre all’interno di una rete di gallerie, musei e istituzioni».
Quale è allora la sua proposta?
«Quest’anno non ho voluto pensare a una mostra a sé, né in fiera né fuori. Ho pensato invece a un progetto che rifletta l’interesse delle gallerie e dei collezionisti, ma anche delle istituzioni, del pubblico e della città. Quindi ho proposto di suddividere il budget destinato alle iniziative curatoriali di Artissima con tre delle istituzioni principali di Torino (Castello di Rivoli, GAM e Fondazione Sandretto Re Rebaudengo) per realizzare un progetto comune in grado di portare nuova energia nei musei. Si tratta di un “cappello” che comprenderà quattro interventi, curati dalle quattro istituzioni nelle loro rispettive sedi e fra questi il progetto di Artissima che sarà realizzato in un nuovo spazio urbano. Il titolo è It’s not the end of the world, riferimento ironico alla fine del mondo profetizzata dai Maya per dicembre, ma soprattutto alla difficile situazione della cultura e del contemporaneo in Italia. In un periodo di pesanti tagli ai finanziamenti ai musei, Artissima vuole farsi promotore di un evento comune e di un importante percorso artistico in città che rafforzi il ruolo delle istituzioni senza fare concorrenza alle gallerie. Anzi, basta ricordare che le edizioni particolarmente forti di Artissima sono state quelle in compresenza con la Triennale di Torino, purtroppo interrotta. E voglio contribuire a ripercorrere quell’esperienza».

 

Nelle ultime edizioni però alcuni collezionisti si sono lamentati che le troppe degustazioni d’arte e progetti site specific penalizzano l’attenzione alle opere. Crede che l’asset pubblico e istituzionale che fa di Artissima uno spazio progettuale e commerciale favorisca le gallerie italiane?

«Artissima ha la peculiarità di essere parzialmente finanziata con fondi pubblici, aspetto che va considerato come un’opportunità e non un limite. Non penso che ci debba essere concorrenza tra interessi commerciali e obiettivi culturali ma, anzi, che le attività collaterali realizzate con i fondi pubblici debbano essere pensate come occasione per rafforzare l’offerta artistica di Torino. Quindi, anche per portare pubblico e collezionisti ad Artissima».
Altro problema: dati recenti hanno messo in evidenza la difficile diffusione dell’arte italiana nel contesto internazionale. Quali saranno le sue misure rispetto a questo?

«Cercheremo di reagire alla crisi con iniziative che motivino le gallerie a rispondere in modo propositivo alle difficoltà. Il ruolo della fiera nei confronti degli artisti italiani si è manifestato nella passata edizione con il progetto di Artissima LIDO. Ideato da Francesco Manacorda, che ne ha affidato la curatela a tre artisti italiani, ha dato la possibilità a diversi collettivi e spazi alternativi di proporre il loro lavoro nella zona del Quadrilatero. Voglio continuare questo progetto con una formula diversa che lo sviluppi verso nuove direzioni. Coinvolgeremo alcuni spazi alternativi dall’estero che realizzeranno una mostra con artisti giovani non rappresentati da gallerie, ma con l’accordo che poi facciano una mostra di un artista italiano nelle loro sedi. Crediamo che questa iniziativa possa dare visibilità agli artisti italiani e che completi la fiera in senso sperimentale».
Parla di Artissima come una fiera la cui risonanza va oltre l’Italia. Come pensa di realizzare tutto questo nella prossima edizione?

«Artissima è l’unica vera fiera internazionale italiana, tutte le gallerie straniere la conoscono e la rispettano. Internazionalizzazione significa continuare a pensare fuori dalle dinamiche italiane, coinvolgendo le gallerie più interessanti anche dall’estero, come hanno fatto i direttori precedenti, ottenendo ottimi risultati. L’internazionalità di Artissima non significa non guardare all’Italia, anzi. Vuol dire attrarre più collezionisti dall’estero, coinvolgere artisti e curatori da diverse aree geografiche, affiancare alle nostre gallerie importanti grandi gallerie da tutto il mondo. Per competere è necessario riflettere in modo eterogeneo le realtà che ci circondano e, per quanto sia difficile oggi, continuare a dimostrare ai collezionisti italiani che ad Artissima possono trovare la qualità di Londra o New York».

 

Concretamente come pensa di attrarre le gallerie straniere?
«Lavorando molto sui collezionisti, essenziali non solo per richiamare le gallerie straniere, ma anche quelle italiane. Stiamo pensando a diversi modi per coinvolgere nuovi collezionisti dall’Italia e soprattutto dall’estero, per interessare le nuove generazioni e i nuovi Paesi. Esistono strategie dirette con la collaborazione di advisors e delle gallerie stesse. E sicuramente il programma della fiera e la sua struttura – oltre ai diversi curatori coinvolti nelle giurie così come il programma collaterale –  devono contribuire ad accrescere l’interesse nei confronti di Artissima».
Su questi presupposti può già darci qualche altra anticipazione?

«Rispetto molto il lavoro del mio predecessore Francesco Manacorda e intendo continuarlo con qualche variazione. Back to the Future, che vede negli stand piccole mostre personali di artisti degli anni Sessanta e Settanta meno conosciuti, è un’iniziativa molto interessante ed è mia intenzione rafforzarla. La giuria sarà più eterogenea, composta da curatori e direttori di musei internazionali di diversa provenienza geografica e anagrafica».
Può dirci i nomi?

«Jan Hoet, Vasif Kortun, Joanna Mytkowska e Vicente Todolì. Ma non è solo questione di nomi, i curatori saranno più coinvolti nei progetti, selezionando le proposte delle gallerie e proponendo loro stessi gli artisti. Intendo confermare anche Present Future: con Luigi Fassi abbiamo costruito una squadra di giovani curatori provenienti da Paesi diversi – oltre Fassi, Erica Cooke, Fredi Fischli, Inti Guerriero e Sarah Rifky –  in grado di compiere un lavoro di ricerca approfondito capace di andare oltre i confini europei».

 

Quanto costerà alle gallerie Artissima e come valuta questi costi rispetto alle altre fiere nazionali e internazionali?

«Manterremo i costi degli anni scorsi. Rispetto alle altre fiere, Artissima è molto competitiva. Il costo dello stand della main section è di 220 euro al mq mentre per le gallerie new entry il prezzo è di 165 euro al mq e per il secondo anno di partecipazione si offre un prezzo intermedio. È nostro interesse rimanere competitivi e creare incentivi per attrarre le gallerie straniere».
Facendole “pagare” alle gallerie italiane?
«Non riesco a capire come le gallerie italiane possano pagare per la presenza di gallerie straniere. Sarebbe come dire che a Basilea le gallerie svizzere pagano per la presenza delle gallerie internazionali o che a Frieze le gallerie inglesi soffrono la presenza di gallerie da altri paesi del mondo. Negli ultimi anni le gallerie europee hanno iniziato a partecipare alle fiere in Cina, in Brasile, in Medio Oriente. Ecco, allora, che un obiettivo per Artissima sarebbe proprio quello di riuscire ad attrarre gallerie e collezionisti brasiliani, cinesi, mediorientali».
Crede che in Italia ci siano troppe fiere, cui oggi si aggiungono quelle on line e low cost?
«Sì, sono troppe. È una caratteristica tutta italiana quella di disperdere energia attraverso tante realtà in competizione fra loro. Una fiera ha bisogno di una città con una rete importante di musei, fondazioni e gallerie. Oltre Torino, quale altra città italiana è in grado di offrirla? La maggior parte degli altri Paesi europei si è concentrata su una sola fiera che è stata fatta crescere nell’interesse comune».

 

Qualche domanda su di Lei. Ha studiato in Italia e all’estero, poi ha lavorato per istituzioni pubbliche, spesso accanto a Bonami. La sua principale esperienza in ambito commerciale è stata presso la galleria Cardi Black Box a Milano. Si ritiene in grado di affrontare una fiera?

«Il mio background è legato soprattutto a un’attività curatoriale in spazi pubblici, ma le mie esperienze private sono state sicuramente altrettanto formative rispetto alle necessità di una fiera. Cardi Black Box mi ha dato la fondamentale opportunità di partecipare, partendo da zero, alla creazione di un progetto, di un programma, di uno staff e di una gestione».
A chi ha malignato sulla sua nomina quale frutto dell’asse Bonami/Sandretto/Torino ha risposto che da alcuni anni vive in Svizzera, estranea alle dinamiche italiane. Non è uno svantaggio per dirigere una fiera italiana?

«Se uno vuole malignare può vedere nella mia nomina qualsiasi congettura. E mi sembra che le congetture siano nello spirito del nostro Paese. Se da due anni non vivo più in Italia devo per forza essere estranea alle dinamiche italiane? Penso invece che ogni tanto uscire dai nostri confini rappresenti un’esperienza utile. Anche perché ti permette di tornare in Italia per scoprire con stupore che anche nel nostro Paese esistono concorsi pubblici trasparenti».

Le ultime edizioni di Artissima hanno significato importanti promozioni per i rispettivi direttori artistici. Dirigere una fiera è un trampolino di lancio?
«Una fiera rappresenta una grande opportunità e offre un’esperienza a 360 gradi nel mondo dell’arte. Anche per un curatore significa un arricchimento. Detto questo, credo che siano le capacità e i meriti individuali di ognuno a plasmare le opportunità future».

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