Mercoledì 28 Marzo 2012 – È possibile che l’eccidio alla scuola ebraica di Tolosa, alla fine delle indagini, venga classificato nella categoria degli eventi anomali, privi di qualsiasi logica, sia pure perversa. L’evento, in ultima analisi, assomiglierà soprattutto al massacro di 91 persone nell’isola norvegese di Utoya il 22 luglio 2011 e alla più recente scorribanda assassina del sergente Robert Bales in una città afghana. È probabile che in ciascuno di questi eventi vi sia una motivazione ideologica o razzista, ma mostruosamente utilizzata dalla contorta e malata psicologia di un individuo. Nel caso di Tolosa, in particolare, le motivazioni ideologiche sarebbero comunque più d’una. Se l’assassino della scuola ebraica è la stessa persona che ha ucciso qualche giorno prima tre paracadutisti (di cui due di origine maghrebina) e ne ha ferito gravemente un quarto, siamo alle prese con una persona che odia contemporaneamente ebrei, musulmani e militari.
Ma esistono circostanze in cui il contesto e le percezioni finiscono per avere il sopravvento su qualsiasi riflessione razionale. La Francia è alla vigilia delle elezioni presidenziali, una gara in cui i candidati con maggiori possibilità di successo non vogliono correre il rischio di apparire distratti o indifferenti. Se uno di essi avesse classificato l’evento fra le storie di ordinaria follia, avrebbe regalato all’altro una buona parte dei propri voti. È comprensibile quindi che Nicolas Sarkozy e François Hollande siano corsi a Tolosa per dire, con le stesse parole, che il lutto della città e della scuola ebraica è un lutto dell’intero paese. I due candidati sanno che l’immagine della Francia è ancora offuscata da antichi sospetti.
Negli ultimi decenni dell’Ottocento l’antisemitismo di Edouard Drumont era più feroce di quello tedesco o austriaco. Negli anni Novanta del secolo il caso Dreyfus ha rivelato l’esistenza di un forte pregiudizio antiebraico negli ambienti cattolici, negli alti vertici delle forze armate, in una parte della società francese. Durante la Seconda guerra mondiale, la Francia di Philippe Pétain non si è limitata a eseguire gli ordini delle forze d’occupazione: ha collaborato con il Terzo Reich e ha trattato i propri ebrei alla stregua di pericolosi nemici. Più recentemente due episodi hanno riaperto il dibattito sull’esistenza di un presunto antisemitismo francese: l’attentato contro la sinagoga della rue Copernic che provocò quattro morti e 20 feriti, il 3 ottobre 1980, e la profanazione di 34 tombe nel cimitero ebraico di Carpentras nel maggio del 1990. Vi furono altri episodi e soprattutto dichiarazioni di Jean-Marie Le Pen, leader del Front national, da cui emergeva una sorta di blando negazionismo o, nella migliore delle ipotesi, una forte sottovalutazione del genocidio ebraico. Dopo questi eventi vi fu addirittura una dichiarazione del primo ministro israeliano Ariel Sharon, nell’estate del 2004, che invitava gli ebrei francesi ad andare in Israele.
Non credo che queste accuse alla Francia siano giustificate. Credo piuttosto che questi episodi francesi dipendano da circostanze di cui il paese potrebbe andare orgoglioso. La Francia ospita oggi contemporaneamente la maggiore comunità musulmana europea (più di 5 milioni di persone) e la più grande comunità ebraica (300 mila nella sola regione parigina). L’insolubile questione palestinese, la guerra libanese e la guerra di Gaza, la colonizzazione israeliana dei territori occupati, il nazionalismo arabo e l’integralismo islamico hanno scaricato sulla società francese tutte le tensioni e i conflitti del Levante e del Medio Oriente. Dovremmo dunque giudicare la Francia per il modo in cui affronta questi problemi, non per il suo presunto antisemitismo.
Sergio Romano
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